IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza sul ric. n. 609/1989 proposto
 dallo studio legale Calvieri - Associazione  tra  professionisti,  in
 persona   del  suo  legale  rappresentante,  rappresentato  e  difeso
 dall'avv. Carlo Calvieri con domicilio eletto nella propria  sede  in
 Perugia,  via  Bartolo n. 43, contro il comune di Perugia, in persona
 del  sindaco  pro-tempore,  rappresentato  e  difeso   dall'avv.   M.
 Cartasegna   ed  elettivamente  domiciliato  in  Perugia,  via  delle
 Streghe, n. 29 (avvocatura comunale), e nei confronti della provincia
 di  Perugia, in persona del suo presidente pro-tempore, rappresentato
 e difeso dall'avv. M. Minciaroni ed elettivamente domiciliata  presso
 la  sede  dell'ente, in Perugia, piazza Italia n. 11, e del Ministero
 delle finanze, in persona del Ministro pro-tempore,  rappresentato  e
 difeso  dall'avvocatura  distrettuale  dello  Stato  di  Perugia, per
 l'annullamento della delibera del consiglio comunale di  Perugia,  20
 marzo  1989,  n. 475, avente ad oggetto la ratifica della delibera di
 giunta 27 febbraio 1989, n. 733, nonche' la conferma di quanto con la
 stessa  deliberato, nonche' degli atti di controllo e di tutti quelli
 precedenti e conseguenziali;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  in  giudizio del comune, della
 provincia di Perugia e del Ministero delle finanze;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udita  alla  pubblica udienza del 17 gennaio 1990 la relazione del
 dott. Lanfranco Balucani e uditi, altresi', gli avvocati C. Calvieri;
 per  la  parte  ricorrente,  l'avv.  M.  Cartasegna  per il comune di
 Perugia e M. Minciaroni per la provincia di Perugia;
    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto;
                               F A T T O
    Il  comune  di Perugia con delibera di giunta 27 febbraio 1989, n.
 733, ha stabilito di applicare l'imposta comunale per l'esercizio  di
 imprese,   arti  e  professioni  (I.C.I.A.P.)  nella  misura  massima
 consentita dalla legge; tale delibera e'  stata  poi  ratificata  dal
 consiglio con delibera 20 marzo 1989, n. 475.
    Avverso   le   delibere  anzidette  il  ricorrente  studio  legale
 associato ha proposto ricorso giurisdizionale  deducendo  i  seguenti
 motivi di diritto:
      1) illegittimita' costituzionale degli artt. 1 e segg. del d.-l.
 2 marzo 1989, n. 66, convertito in legge 24 aprile 1989, n. 144,  per
 contrasto  con i parametri di legittimita' costituzionale posti dagli
 artt. 3, 23, 53 e 128 della Costituzione.
    Sostiene  la  parte  ricorrente che l'ampia potesta' discrezionale
 riservata all'ente destinatario del  tributo  provoca  disparita'  di
 trattamento  "equiparandosi  professioni  con diversa redditivita' in
 funzione delle sole superfici e professionisti di diversa  anzianita'
 e  capacita'";  che  e' in contrasto con l'art. 23 la creazione di un
 tributo "nella cui configurazione manca  ogni  corrispettivo,  e  che
 pone su di una posizione equiparata piu' comuni caratterizzati invece
 da una ben diversa erogazione di servizi"; che il tributo colpisce la
 potenziale  redditivita'  dei  luoghi  e  non,  come  sarebbe giusto,
 l'effettiva  produzione  del  reddito,  basandosi  su   irragionevoli
 elementi  che  non  possono  considerarsi  validi indici di capacita'
 contributiva;
      2)  violazione  dell'art.  2, secondo e terzo comma, del d.-l. 2
 marzo 1989, n. 66; nell'assunto che e' stata disattesa la  previsione
 normativa  secondo  cui alla amministrazione comunale era lasciata la
 possibilita' di delimitare zone speciali a piu' elevata  imposizione;
 il  comune  intimato  non ha provveduto alla individuazione di queste
 zone ed ha preferito adottare un metro unico per tutte  le  zone  del
 comune;
      3)  eccesso di potere, nelle sue figure sintomatiche del difetto
 di istruttoria, difetto di motivazione e disparita' di trattamento.
    Cio'   in  quanto  l'associazione  ricorrente  si  vede  applicare
 l'imposta  secondo  parametri  indifferenziati,  ne'  d'altra   parte
 risulta  comprensibile in base a quale ragionamento l'amministrazione
 abbia determinato le misure impositive.
    Per  i  suespoti  motivi la parte ricorrente ha concluso chiedendo
 l'annullamento  degli  atti  impugnati,   previa   remissione   della
 questione di costituzionalita' alla Corte costituzionale.
    Si  e'  costituito  in  giudizio  il  comune  intimato il quale ha
 eccepito la tardivita' dei due ricorsi in quanto notificati  solo  il
 26  luglio  1989,  mentre la delibera consiliare n. 475/1989 e' stata
 pubblicata all'albo  pretorio  dal  3  al  17  aprile  1989.  Ha  poi
 sostenuto  che  sono  privi  di  fondamento  i  dubbi di legittimita'
 costituzionale,  atteso  che   il   legislatore   ha   legittimamente
 individuato  il  presupposto  dell'I.C.I.A.P.  in una serie di indici
 indiretti di capacita' economica  quali  l'esercizio  di  determinate
 attivita'  e  le  classi  di superficie immobiliare utilizzate per le
 stesse attivita'.
    Quanto   agli   altri   motivi   di   gravame   ha  rilevato  che,
 contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, e' stato il consiglio
 comunale (e non la giunta) a disciplinare direttamente l'applicazione
 dell'imposta nella misura massima consentita.
    La  provincia  di  Perugia,  evocata in giudizio con il ricorso n.
 550/1989 ha contestato la fondatezza di tutti  i  motivi  di  gravame
 dedotti,  ivi comprese le questioni di legittimita' costituzionale ed
 ha concluso per la reiezione del ricorso.
    Il  Ministro  delle finanze, evocato in giudizio con il ricorso n.
 571/1989, ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva ed
 ha contestato la fondatezza di tutti i motivi di ricorso instando per
 la sua reiezione.
    Alla  pubblica udienza del 17 gennaio 1990 entrambi i ricorsi sono
 stati trattenuti in decisione.
                             D I R I T T O
    Aderendo  a  taluni  dei  dubbi prospettati da parte ricorrente il
 Collegio ritiene che non sia manifestamente  infondata  in  relazione
 agli  artt.  53  e 3 della Costituzione, la questione di legittimita'
 degli artt. 1 e 2 del d.-l. 2 marzo 1989, n. 66, convertito in  legge
 24 aprile 1989, n. 144.
    E'  indubbio che l'imposizione fiscale, per essere compatibile con
 i principi di uguaglianza e di capacita' contributiva, deve  fondarsi
 su  indici  concretamente rivalatori di ricchezza o su fatti reali da
 cui l'esistenza della ricchezza possa desumersi in modo non fittizio.
    Tali  caratteristiche non sembrano riscontrarsi nelle disposizioni
 con le quali vengono determinati i presupposti, i soggetti passivi  e
 la misura della I.C.I.A.P.
    Invero  gli  artt.  1  e  2  del  decreto  evidenziano una marcata
 irrazionalita' nella parte in cui,  per  determinare  la  misura  del
 tributo,    fanno    riferimento   alla   superificie   dell'immobile
 eventualmente utilizzato dal professionista.
    Il  pretendere  di riferire il reddito derivante dall'esercizio di
 una  impresa,  arte  o  professione,  a  parametri  e  ad  indici  di
 rilevazione  quali  la  superficie dei locali o la loro ubicazione e'
 assolutamente  arbitrario  giacche'  tali  indici  non  sono  affatto
 rivelatori   di  un  reddito  e  percio'  della  effettiva  capacita'
 contributiva del soggetto obbligato all'imposta.
    In  altri termini, non e' detto che uno studio professionale, o un
 negozio o un bar di maggiore superficie ritraggano,  per  cio'  solo,
 maggiori  introiti  rispetto  ad  altro  locale di minori dimensioni;
 altri sono i criteri da seguire per diversificare  i  redditi  e  con
 essi  i  tributi,  e  derivano da altri fattori, quali la quantita' e
 qualita' delle clientele, il modo in cui e' organizzata  l'attivita',
 la competenza professionale del titolare, ecc.
    Appare   inoltre   irrazionale  affidare  all'ente  impositore  la
 determinazione della misura dell'imposta tra il minimo ed il  massimo
 stabilito   nella   tabella   allegata   alla  legge,  in  quanto  la
 (prevedibile) differenziata scelta di livello da  parte  dei  diversi
 comuni  e'  tale  da  porre  in  essere disparita' di trattamento per
 situazioni analoghe ed omogenee, solo perche' esistenti e operanti in
 comuni diversi del territorio nazionale.
    Le  dedotte  questioni  di  legittimita' costituzionale, se per un
 verso  non  sono  manifestamente  infondate,  si  palesano   altresi'
 rilevanti  agli  effetti del giudizio instaurato davanti al t.a.r. La
 eventuale   dichiarazione   di   incostituzionalita'   delle    norme
 soprarichiamate    condurrebbe    infatti    alla   caducazione   dei
 provvedimenti impugnati e dello stesso potere  impositivo  attribuito
 ai comuni con la istituzione della I.C.I.A.P.; per contro, qualora il
 ricorso venisse accolto per  uno  qualsiasi  degli  altri  motivi  di
 gravame,  la ricorrente associazione rimarrebbe comunque assoggettata
 alla applicazione dell'imposta, seppure in misura inferiore a  quella
 fissata con i provvedimenti impugnati.